11/12/08

Lasciamo stare, dai, non rifacciamo un letto ormai disfatto...

Credo smetterò di leggere Amélie Nothomb, non so se con dispiacere o sollievo.

Nell'abbandonarmi alle passioni letterarie sono da sempre piuttosto seriale. La mia vita scorre parallela a un percorso di letture scandito in modo molto netto. E’ così: vado a periodi. Se mai decidessi di scrivere la mia autobiografia potrei intitolare i vari capitoli con il nome dell'autore dell'epoca. Ma ci avrà sicuramente già pensato qualcun altro.

Questa tendenza monogama è un po' la regola della mia vita: mi butto nelle cose con una devozione quasi integralista finché, a volte anche all'improvviso, decido di chiudere. Va detto che in letteratura ciò avviene di solito perché l’autore del momento è morto/ha smesso di scrivere/deve ancora far uscire il suo ultimo capolavoro. Quest’ultima ipotesi mi mette più di tutte a disagio perché di solito, terminata la fase di innamoramento (e per sopravvivere all’attesa dell’uscita di un nuovo romanzo è chiaro che devo disinnamorarmi) difficilmente, poi, riesco a ritrovare lo stesso entusiasmo dell’inizio.

Il momento “Amélie”, però, a differenza degli altri miei amori passati, si concluderà prima che io termini di leggere la sua attuale bibliografia o che lei smetta di scrivere. La storia tra di noi ha registrato momenti di entusiasmo eccessivo alternati a picchi di fastidio estremo, spesso durante la lettura dello stesso libro. Ma il mio spirito di autoconservazione, ultimamente sempre più reattivo, ha avuto la meglio. Trovandomi in una fase esistenziale in cui rifiuto di invischiarmi in storie d’amore malate, ho deciso di estirpare il patologico anche dagli altri spazi della mia vita.

Amélie, bella mia, è finita.

Mi mancheranno di lei: la limpidezza e la leggerezza del suo stile, la compiutezza dei suoi pensieri, i suoi racconti asiatici.

Farò invece volentieri a meno della sua morbosità.
Perchè ho capito che il "nostro" problema, di fondo, sta tutto lì: nel modo in cui viene trattato il morboso. E dire che Agotha Kristoff, una delle mie scrittrici preferite, è un po' la regina del genere. Nei suoi romanzi, però, c’è un ordine perfetto, una naturalità orribile ma non stridente. Il morboso è un effetto, non la causa, e sembra quindi avvolto da un’aura di normalità.
In Amélie, invece, il morboso è ragione di scontro, di distorsione dei rapporti, è causa e non effetto. E’ generato dai vizi dei personaggi e non da ragioni esterne a cui non ci si può opporre. I suoi racconti sono un covo di relazioni volutamente asimmetriche che mi irritano esageratamente (aaaahhh se mi irritano...).

Mi mancherebbero una decina di pagine per finire l’ultimo suo romanzo che avevo a casa, Mercure. L’ho appoggiato un paio di sere fa giù dal letto e non l’ho più trovato. Non so se sia stato inghiottito dal materasso, comunque mi piace farmi influenzare dai segni, specie quando assecondano così spudoratamente i miei desideri.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Io ho abbondanato Amélie già al secondo libro, nonostante l'entusiasmo per il primo.
Hai mai provato a leggere Miriam Towes o Peter Cameron?

madame ha detto...

Buongiorno! Miriam Towes non l'ho mai sentita (consiglia, consiglia!), invece di Peter Cameron avevo letto sicuramente un suo romanzo ma non ricordo il titolo, può essere una cosa tipo "quella sera dorata"? Di quel libro ho un ricordo moderatamente positivo... Se è lui ha scritto anche altro?

witchlara ha detto...

Probabilmente io non ho le basi per capire una coma Amalie! Ne ero rimasta entusiata da un'intervista e mi ero affrettata per comprere un suo romanzo.. quando ho visto il numero delle pagine ne ho comprati 3.. ma non ho mai finito nemmeno il secondo.
Addirittura ho pensato ad un certo punto che il modo di scrivere era dedicato a teen-ager.. una cosa folle se si fa caso al contenuto!